La casa non si chiede… si prende!

Posted: Luglio 13th, 2011 | Author: | Filed under: General | Tags: , , , , | Commenti disabilitati su La casa non si chiede… si prende!

La casa non si chiede.. si prende!

Oggi 13 luglio, tre famiglie che hanno subito lo sfratto esecutivo per morosità e che si sono trovate costrette a vivere per la strada e a dormire in auto con i loro figli, hanno preso la decisione di occupare i locali vuoti ed abbandonati della ex Circoscrizione 1 di via delle sorgenti n. 180.Questa struttura, come molte altre proprietà comunali a Livorno, è inutilizzata!
Considerato l’ingente numero di sfratti in città, riteniamo opportuno e necessario che il comune e chi si occupa di emergenza abitativa prenda la decisione di adibire questa struttura proprio a questa funzione,restituendo quindi questi spazi abbandonati a coloro che ne hanno davvero necessità.


“Reddito d’esistenza e dintorni” [seminario-dibattito con Andrea Fumagalli del 19 maggio 2011]

Posted: Maggio 27th, 2011 | Author: | Filed under: General | Tags: , , , , | Commenti disabilitati su “Reddito d’esistenza e dintorni” [seminario-dibattito con Andrea Fumagalli del 19 maggio 2011]
Andrea Fumagalli insegna Macroeconomia e Teoria dell’impresa presso il Dipartimento di Economia politica e metodi quantitativi, Facoltà di Economia, Università di Pavia, e Economia politica presso il Corso di laurea in Comunicazione multimediale della stessa università. È attivista della rete May Day, organizzatrice della famosa parade del 1 maggio precario milanese.
I suoi principali ambiti di studio sono relativi al nuove forme di welfare, in particolar modo alla proposta di un reddito d’esistenza incondizionato e universale, e alle trasformazioni intercorse negli ultimidecenni nel processo di accumulazione capitalista e nella composizione del lavoro.
È stato fondatore della rivista «Altreragioni». Tra i suoi principali lavori ricordiamo i seguenti: “Bioeconomia e capitalismo cognitivo” (Carocci, 2007) e “La moneta nell’impero” (insieme a Christian Marazzi e Adelino Zanini, Ombre corte, 2002). Insieme a Sergio Bologna ha curato “Il lavoro autonomo di seconda generazione” (Feltrinelli, 1997) e, più recentemente, con Sandro Mezzadra ha curato “Crisi dell’economia Globale” (Ombre corte 2009).

La flessibilità del lavoro in linea storica discende da tutta una serie di mutamenti che hanno interessato l’assetto economico e sociale a partire dagli anni ’60 e ’70. Sono questi mutamenti interni al capitalismo, cioè soluzioni nuove ai sistemi di estrazione di profitti e ricchezza dal lavoro. Questi cambiamenti hanno sconvolto le basi su cui si reggevano le trame del consenso nella società taylorista-fordista, ossia il benessere diffuso e generalizzato, l’espansione dei consumi, conoscono oggi un forte freno alla luce della desuetudine degli strumenti classici della distribuzione dei redditi, Welfare prima di tutto. Welfare che, data l’insufficienza dei redditi da lavoro, deve aggiornarsi, meglio dire forse rivoluzionarsi, non potendo di certo più rispondere con parametri ed indici propri di una società statica e monolitica alle esigenze di una società ben più dinamica e veloce, mutevole e spiazzante.

Per fare chiarezza conviene ripercorrere brevemente genesi e mutamenti del capitalismo. Il capitalismo in origine coniugò lavoro e capitale nella produzione materiale delle merci. La manifattura  sancisce il superamento dell’economia agricola, il macchinismo e la grande industria in pieno ‘800 ne esaspereranno contraddizioni e potenzialità, questione sociale e capacità generativa di ricchezza. Il massimo sviluppo produttivo si avrà a cavallo dei due secoli precedenti con le teorizzazioni di Taylor e gli esperimenti di Ford : il lavoro è massimamente parcellizzato, la divisione del lavoro altrettanto, lo svuotamento di capacità nell’erogazione di lavoro ormai si definisce intorno alla figura nuova dell’operaio massa, del lavoratore salariato privo di professionalità : l’uomo più che mai si trasforma in mero appendice di una macchina. La crisi del ’29 poi scompagina i piani del capitale, ne evidenzia contraddizioni e limiti ; la storia è nota, lo sono Keynes, Roosevelt ed il New Deal americano : nasce quel patto sociale che in maniera inedita lega indissolubilmente lavoro e capitale in una spirale di crescita costante e parallela. Aumenta la distribuzione del reddito, interviene nella storia del capitalismo lo Stato con piani di ammortizzatori sociali ubiqui volti ad alzare i salari e favorire la domanda di merci. La spesa pubblica diviene una variabile economica decisiva. La contrattazione sindacale assume gli oneri che il cambiamento storico comporta, come forma mediata e privilegiata di manifestazione delle aspettative e del  dissenso operaio.

La conflittualità incontra nuove forme di moderazione mentre il benessere genera nuovo consenso. Tutto ciò viene nuovamente scompaginato tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, dove le nuove tecnologie rivoluzionano nuovamente la produzione : dalla produzione materiale di merci passiamo alla produzione immateriale. Non è più l’aumento dell’intensità del processo lavorativo a produrre nuova ricchezza, bensì la “messa a lavoro della vita” : il tempo di non lavoro, il tempo libero, viene trasformato grazie alla rivoluzione informatica in tempo produttivo. Il cambiamento del paradigma produttivo accentua il ruolo della comunicazione ottenendo maggiore dinamismo e flessibilità dal lavoro. Gli aspetti immateriali relativi alla comunicazione linguistica nei processi produttivi iniziano ad essere la variabile decisiva della produzione, la globalizzazione cancella le distanze geografiche con lo spazio virtuale. Queste società in mutamento enfatizzano il ruolo del settore terziario, ora tra le prime voci del Pil. Si pensi alle plusvalenze ottenute dalla vendita di un paio di Nike prodotte con costi bassissimi laddove il lavoro costa poco e rivendute altrove a prezzi lussuosi : la produzione di immagini, la pubblicità ed i “miti d’oggi” disegnati a tavolino dalle aziende incidono accrescendo le plusvalenze. In questi nuovi scenari l’operaio-massa viene sostituito dal precario. Come dicevamo con una formula felice è “la vita che viene messa al lavoro”. Si pensi al consumo su cui vengono raccolti dati che basano indici utili per piani di vendita : il consumo in questo caso non è un atto di distruzione di una merce, quanto piuttosto un motore che aziona quei piani di vendita importanti per le aziende per ottenere nuovi profitti.

Il precario appunto è colui che non vede retribuirsi tutta quella ricchezza legata alla “messa a lavoro della sua vita”, poichè il Welfare, che dovrebbe compensare l’insufficienze dei nuovi redditi (o non redditi), continua ad essere pensato in relazione al lavoro. Le conseguenze anche politiche sono devastanti, si pensi all’Italia dove la costituzione configura il lavoro come condizione necessaria per l’esercizio della cittadinanza attiva. Soluzione ai nodi problematici del vecchio Welfare può essere il concetto di reddito d’esistenza, ossia di reddito sganciato dal lavoro. Le caratteristiche del reddito d’esistenza debbono essere l’incondizionalità (poichè tutta la vita deve essere retribuita per quanto detto prima), l’individualità (non deve essere familistico) ed il sostegno accordatoli dal bilancio pubblico, cioè deve essere finanziato dalla collettività (essere variabile distributiva della ricchezza generale).

La proposta è insomma quella di sostituire ogni forma indiretta di sostegno al reddito con un unico ed ubiquo ammortizzatore sociale.